A pochi chilometri da quell’esuberante giardino fiorito in pietra che è il barocco centro storico di Lecce, troviamo un’anima romanica, timida e solitaria. È l’abbazia di Santa Maria a Cerrate situata nella campagna leccese, vicino Squinzano.
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Costruita, fra dodicesimo e tredicesimo secolo per volere del normanno Boemondo d’Altavilla, l’abbazia ospitava monaci di rito greco. Nei secoli, il centro monastico divenne anche fiorente centro agricolo incorporando una masseria, stalle e frantoi ipogei tutt’ora visitabili.
Dopo le incursioni piratesche e l’oblio, questo diamante grezzo del romanico pugliese è tornato a splendere grazie alle amorevoli cure del FAI.
La facciata a salienti, decorata da semplici archetti pensili e da un piccolo rosone lascia che tutta l’attenzione si concentri sul magnifico portale dall’archivolto istoriato.
I rilievi raffigurano l’Annunciazione dell’angelo alla Vergine, la visita di Santa Elisabetta, i Magi e la nascita di Gesù. L’arco si appoggia su due animali difficili da distinguere ormai, tanto sono consunti. I due animali sono accovacciati su capitelli dalle foglie d’acanto. Altre foglie d’acanto decorano il portale assieme ad un tralcio “disabitato” poiché non vi sono figure vive al suo interno ma solo bellissimi ornamenti vegetali.
Ma l’elemento più originale di questo luogo è di sicuro la loggia affiancata al lato della chiesa. Insolita nell’universo romanico, più avvezzo ai chiostri che ai loggiati, la loggia prosegue armoniosamente un lato della facciata. I 24 capitelli alternano motivi presi dai bestiari medievali come centauri, sirene, arpie, ramarri, ad altri più classicheggianti come palmette e frutti.


Il piccolo loggiato, col suo gioco di pieni e vuoti, luci e ombre, possiede un’atmosfera intima e raccolta che trasmette serenità.
In effetti, per qualche motivo, piuttosto che nella chiesa a pregare, mi è più facile immaginarmi i monaci a prendere la frescura sotto al porticato nelle assolate giornate estive (forse perché è quello che farei io!).

All’interno della chiesa, sono sopravvissuti degli interessanti affreschi duecenteschi di influenza bizantina. In origine, l’interno era completamente affrescato ma crolli e rimaneggiamenti successivi hanno permesso solo a pochi frammenti di arrivare ai giorni nostri (molti dei quali conservati all’interno del museo allestito in loco).

Sul lato della loggia, si trova un arzigogolato pozzo di fine Cinquecento, quasi a ricordarci che ci troviamo pur sempre nel regno del barocco leccese. Di fatti, il pozzo sarebbe perfettamente a suo agio nel centro del capoluogo di provincia, ma è come se, dalla città, fosse venuto fin qui a respirare un po’ di salubre aria di campagna.

La decorazione è legata al mondo marino, ricordando l’arricciarsi delle onde del mare. Una sirena bicaudata è scolpita sul piedistallo, mentre in cima al “baldacchino” un’altra creatura marina, maschile stavolta, è dotata di tentacoli da piovra, anch’essi arricciati!

Una leggenda narra che la creatura, con lo sguardo, indicasse l’acchiatura, termine salentino che viena da acchiare o cchiare “trovare” e che indicava un tesoro nascosto. Secondo la stessa leggenda, dopo che fu scavato nel punto in cui la scultura guardava e non fu trovato nessun tesoro, il volto venne sfregiato in segno di vendetta.
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